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Palma Campania


Palazzo Aragonese

Le vicende del Palazzo Ducale, più noto come Aragonese, sono legate alla storia del feudo di Palma, perché l'edificio fu la sede dei feudatari che si avvicendarono nel corso dei secoli, a partire dalla fine del XV secolo. Infatti la decadenza del castello baronale edificato sulla collina iniziò con il regno aragonese. In questo periodo i castelli persero la loro funzione di luoghi di estrema difesa e ad essi si sostituirono gli edifici di delizia, ricchi di sale e numerose logge, come il Palazzo Ducale, edificato ai piedi della collina, e fatto costruire verso la fine del XV secolo da Raimondo Orsini, conte di Nola, per ordine di Alfonso I d'Aragona, che scelse il Piano di Palma per la caccia col falcone.

In seguito alla fellonia di Enrico Orsini, per volere di Carlo V l'edificio fu requisito dalla Regia Corte e messo in vendita. Acquistato il 17 giugno 1529 da Giacomo Della Tolfa, conte di San Valentino, in seguito alle successioni passò in dote a donna Vittoria, che sposò il marchese di Lauro, Scipione Pignatelli. Il figlio Camillo a causa dei debiti lo vendette alla principessa Maria di Cariati. Fu acquistato poi da un rappresentante della borghesia emergente del tribunale di Napoli Massimino Passaro e dal 1663 divenne feudo della nobile famiglia napoletana dei Di Bologna, titolare di un seggio nel Sedile di Nido, il Parlamento dei nobili napoletani. Nicola di Bologna, divenne Duca di Palma, tenne il feudo dal 1663 al 1725, quando lo ereditò prima l'omonimo nipote Nicola e poi, alla morte di costui, il fratello Ascanio, che moriva senza eredi.

Da allora iniziò una lotta in famiglia per la successione tra la moglie di Ascanio, Maria Loffredo, e il nipote, per linea femminile, Gennaro Caracciolo (figlio di Pasquale Caracciolo, Principe di Marano e nipote di Don Fulvio Gennaro Caracciolo e Donna Maria Ippolita di Bologna). Alla fine il feudo fu acquisito dal Caracciolo che, per motivi di indebitamento, lo vendette a Giacomo Saluzzo, duca di Corigliano e da questi passò ai baroni Compagna. L’ultima erede dei Compagna è ancora oggi proprietaria di due ampi saloni a primo piano e sovrastanti sottotetti di copertura.

Il palazzo conobbe un periodo di grande splendore con i Della Tolfa, che dopo l’acquisto del 1551 passarono ad ampliarlo e ad abbellirlo con importanti opere d’arte

Tutti gli altri feudatari che si susseguirono nella proprietà investirono notevoli risorse nel restauro e nell’abbellimento del monumento. Il Duca Nicola di Bologna lo ristrutturò e lo abbellì con tele e dipinti di numerosi artisti napoletani (a questo periodo risalgono gli affreschi ancora presenti nei locali adibiti ad erario e posti sulla destra, all’ingresso del Palazzo). Sistemò anche il giardino e lo arricchì di vasi e di siepi di bosso. L’edificio attende ancora un restauro che lo riporti al suo originario aspetto. La facciata principale è scandita da tre ordini di apertura tardo cinquecenteschi nel disegno e nel rapporto dimensionale. Al centro dell'edificio, il portone di entrata è costituito da una semplice cornice di piperno, sormontata nella chiave dallo stemma raffigurante un leone rampante.

Complesso monumentale di Largo Parrocchia

Vi sorge la Chiesa Madre di S. Michele Arcangelo che, per grandezza e splendore, è la seconda chiesa della Diocesi dopo il Duomo di Nola. Fu in passato (anno 1584) la Chiesa di S. Maria La Nova; successivamente fu ampliata e dedicata a S. Michele Arcangelo. Nei quattro pennacchi della cupola gli Evangelisti raffigurati dal pittore G. Vollono nel 1930. Nella navata centrale, al centro del soffitto “Vittoria di san Michele sul diavolo”, opera del pittore Alessio D'Elia datata 1761 ed estesa per circa 24 mq . Si possono inoltre ammirare maggiore in marmi policromi e commessi, il monumentale organo della seconda metà del 1800, il fonte battesimale del sec. XVIII. Nel transetto campeggiano due tele di Angelo Mozzillo, raffiguranti San Michele Arcangelo e la Madonna del Carmine.  Di interesse artistico sono anche le tele del Battesimo di Gesù e della Madonna delle Grazie tra le anime purganti. La chiesa ospita la statua di San Biagio, patrono del paese sin dal sec. XVII, quella di San Michele Arcangelo, titolare della chiesa, risalente al sec. XVIII, ed altri santi tra cui Alfonso de’ Liguori. Vi sono custodite, inoltre, le reliquie di San Biagio e Santa Faustina.

 Attigua alla Chiesa di S. Michele c'è la Congrega di S. Maria della Purità costruita intorno alla metà del 1600. Sulle pareti laterali trovano posto una decina di affreschi, alcuni del Mozzillo.

Nel Largo Parrocchia sorge anche la Congrega dell’Immacolata realizzata nella prima metà del 1700: è tra le più suggestive. Alle pareti laterali dell’aula sono addossati i sedili in pioppo dipinti di color noce e impreziositi da capitelli dorati.

 Chiesa del Corpo di Cristo e SS Rosario

Il tempio sorse nel sec. XVI col titolo di Corpo di Cristo, a cui si aggiunse nel 1584 quello di SS. Rosario, col trasferimento della Confraternita del Rosario dalla chiesa di Santa Maria La Nova. L'impianto ad aula con cappelle laterali, è frutto di una ristrutturazione del sec. XVIII, quando l'edificio fu arricchito di  facciata in stile barocco. Il portale presenta un festone di fiori e frutta a stucco, sormontato da una lunetta, che accoglie un affresco del Corpo di Cristo. Ai lati del presbiterio, di recente restaurate, fanno bella mostra una raffigurazione dell'Annunciazione del sec. XVII e una rappresentazione dell'Immacolata Concezione tra Santa Lucia e Sant'Aniello. Nella prima cappella di sinistra campeggia la tabula lignea con il Corpo e il Sangue di Cristo, di Decio Tramontano della fine del sec. XVI. Tre opere di gran valore artistico, purtroppo trafugate di recente, davano maggior lustro alla chiesa: un polittico della Madonna del Rosario con i quindici Misteri, attribuito a Decio Tramontano, un olio su tela della Madonna del Carmine con Santi, di Marco Mele, ed un'altra tela raffigurante la Madonna delle Grazie con Santi francescani. La statua della Madonna delle Grazie sovrasta l'altare maggiore del XVIII secolo, affine a quelli presenti nelle cappelle laterali. L’ampia tela del soffitto fu realizzata dal conterraneo pittore Luigi Annunziata nella seconda metà del XX secolo..

 

Acquedotto Augusteo

 

In località Tirone sono i resti dell'Acquedotto Augusteo. Si ritiene che il tratto a monte prosegua interrato fino alla località Torricelle, dove sono ancora visibili altri ruderi, mentre quelli a valle proseguono interrati per Nola e per Capo Miseno. La costruzione dell'acquedotto è da collegarsi alle opere portuali promosse da Augusto nell'area flegrea, perché assicurava l'approvvigionamento idrico della flotta romana ancorata nel porto di Miseno, e al tempo stesso riforniva di acqua i centri che attraversava. I due condotti portati alla luce sono in opus reticulatum e in opus latericium, testimonianza di successivi interventi di restauro, ultimati nella prima metà del IV secolo.

 


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